dae Gigi Sanna
Eccola, la prova decisiva. Ergo, a noi e, soprattutto, ai nostri padri la Stele di Nora! Naturalmente senza nulla togliere all’importanza dei cosiddetti ‘Fenici’ che hanno frequentato, nei primi secoli del primo Millennio a.C., le coste della Sardegna. Non fosse per altro perché una delle città (o più di una città) delle coste siro-palestinesi inventarono e rafforzarono quell’alfabeto di 22 lettere che tanta importanza avrebbe dovuto avere per la civiltà di tutto il bacino del Mediterraneo per un millennio e oltre. Compresa quindi la civiltà dei cosiddetti ‘Nuragici’, ovvero dei ŠRDN citati dalle fonti egiziane ed ugaritiche.
Una persona (che preferisce mantenere un rigoroso anonimato), ha trovato in una località della parte alta dell’Oristanese (e credo che ormai non si debba più attribuire al caso il fatto che le tracce della scrittura arcaica sarda si rinvengano soprattutto in area ‘arborense’, ovvero in un ben preciso territorio della Sardegna: Cabras, S.Vero Milis, Abbasanta, Paulilatino, Norbello, ecc.), un ciondolo di pietra grigio- scura, di forma ellissoidale (cm 7,5 x 4,3), contenente dei segni di scrittura graffiti in entrambe le facce. Nella prima insistono quattro segni, di tipologia ‘fenicia arcaica’, al di sotto dei quali stanno cinque lineette tracciate obliquamente, una delle quali accorpata al primo dei grafemi. Nella seconda sei segni, della stessa tipologia, ai quali si deve aggiungere, con ogni probabilità il ‘segno’ del foro passante dell’oggetto (che serviva per la cordicella) che, assieme ai due chiari trattini curvi superiori ‘a forcella’, fornisce l’aspetto di una testa di un bue o di un toro. I grafemi, data la notevole durezza della pietra, furono incisi, in tutta evidenza, con una punta metallica. Tutti sono chiaramente visibili. Il ‘foro’ mostra, molto evidenti, le tracce dello sfregamento della cordicella. La pietruzza anche se ingenuamente sottoposta, purtroppo, ad un’improvvida, perché energica, pulitura dallo strato argilloso da chi lo ha rinvenuto, è stato fotografato dal medesimo in entrambe le parti (v.foto), per nostra fortuna, lo stesso giorno del rinvenimento.
Procedendo (come di norma per la scrittura fenicia) in modo regressivo, si notano nella faccia A un ‘ayin, un bēth, un dāleth, un secondo ’āleph, nella faccia B un ’āleph, un bēth, uno šin, un rēš, un dāleth, un nūn. Unendo quindi la sequenza grafica della parte A con quella della parte B abbiamo: ‘bd’ ’b šrdn.
Ora, come ognuno può vedere, il testo è di quelli che si lasciano tradurre con estrema facilità. Infatti, nella prima faccia si trova scritta una parola (‘bd), sola o composta, molto nota in ambito epigrafico sardo e non (v. M.G.Amadasi Guzzo 1967. Le iscrizioni fenicie e puniche delle colonie in Occidente. Istituto di Studi del Vicino Oriente. Università di Roma, cap. III, pp. 87, 95, 97,105, 106, 110, 117, 119, 122, 123, 132), tipica, si direbbe, del lessico ‘fenicio’ e punico (con alfabeto neopunico) rinvenuto in Sardegna; parola che vuol dire ‘servo di’ (ad es. ‘abdmlqrt: ‘servo di’ mlqrt). Nella seconda si trovano le parole ’b che significa ‘padre’ e šrdn che significa ‘signore giudice’. Quindi il senso completo dell’intera iscrizione è: ‘servo del padre signore giudice’. Colui che portava il ciondolo, verisimilmente appeso al collo, era un devoto o, con maggior probabilità, un sacerdote di un tempio del Dio PADRE SHARDAN (il famoso Sardus Pater ‘Bab-y’ o ‘Bab-ay’ del tempio nuragico prima, ‘fenicio’(?) poi e quindi ‘romano’ di Antas di Fluminimaggiore: v., tra gli altri, Zucca 1989, Il tempio di Antas, Delfino ed.).
Non è il caso, ovviamente, per sensi di discrezione e di opportunità, di procedere, in questa sede, con ulteriori e più dettagliati commenti (sul piano epigrafico, paleografico, linguistico e storico-religioso) sull’iscrizione dell’oggetto. Né ci sembra ancora il momento di datare l’età del ciondolo con un approccio linguistico e/o attraverso la forma dei segni di tipologia fenicia, comunque arcaici.
Corre però l’obbligo di avvertire in questa ‘scheda’, volutamente sintetica e precipuamente informativa, che non si prenda sottogamba il ‘semplice’contenuto del ciondolo, anche e soprattutto perché si presenta con scrittura ‘a rebus’, tipica del nuragico; ed inoltre aggiungere, per i più distratti (e per gli scettici e i negazionisti), che esso tende a confermare, senza ombra di dubbi, quello che altri documenti, ma soprattutto due, il coccio di Orani ed il concio di Bosa, dicono in modo estremamente chiaro: che la stele di Nora non contiene un testo che parla di ‘signori di Kition e di Narna (Dupont-Sommer), né ‘di Nogar edificatori di templi per Puma-y’ (Fevrier), né di ‘conquiste o di eserciti’ (Cross, Barreca), né di ‘figli di Milkaton, fondatori di Nora’ (Dedola); e neppure mostra la sequenza sintattica B ŠRDN, ‘in Sardegna’ (Ugas) e meno ancora un contenuto con ‘ baldi garzoni pigiatori di mosto’ (Sauren).
La Stele di Nora è quello che da tempo (v. soprattutto Sardōa Grammata 2004, pp.316 -321 e 534 -538) sospettavamo che fosse: un documento con tenore attinente alla antica religione sarda ‘nuragica’ scritto presumibilmente quando essa era in auge in tutte le città della costa occidentale della Sardegna (Tharros, Cornus, Nora, Bosa, etc.) . In esso, ‘teste’ il nuovo documento, si trova scritto uno dei tre appellativi del Dio (gli altri due sono, nella stessa stele, ’aleph ‘toro’ e sb’ ‘dio degli eserciti stellari’), l’AB(a) Š(a)RD(a)N dei Sardi nuragici. Questi altri non è (lo rietiamo ancora una volta) se non la divinità intuita (anche se non individuata) magistralmente da Raffaele Pettazzoni agli inizi del secolo scorso, cioè yhwh. Ma, si badi, nella stele di Nora non c’è scritto solo ’AB ŠRDN : c’è scritto H ’AB ŠRDN, ovvero ‘Lui Padre Signore Giudice’.
Penso che se si fosse prestata solo un po’ di attenzione (ripeto, solo un po’), senza ingiustificabili ‘a priori’ e senza isterismi alla vista di novità non gradite, ai non pochi documenti nuragici scritti, quelli che andiamo proponendo (purtroppo faticosamente, per resistenze attive e passive) ormai da più di un decennio (soprattutto le tavolette di Tzricotu di Cabras, il sigillo di S.Imbenia di Alghero e il coccio di Orani), gli studiosi avrebbero appreso e compreso bene, tra le altre cose, uno degli aspetti più vistosi della lingua e della scrittura arcaica isolana della seconda metà del secondo millennio a.C.: l’uso esteso ed il valore del cosiddetto ‘determinativo’ (o ‘segno commentatore’ o ‘indicatore’) nel nuragico della Seconda metà del secondo Millennio a.C. Determinativo dato dal pronome semitico ‘indicativo’ (hē) che - ormai possiamo dirlo in tutta sicurezza - si adopera spesso, oltre che per il dio (yhw), per i frequentissimi suoi appellativi di ‘luminoso’, ‘padre’ e ‘toro’.
Devo aggiungere che mi è particolarmente gradito rendere di dominio pubblico questo documento (che, per ovvi motivi, dietro mia esortazione, si è deciso di consegnare quanto prima) dal momento che, fra qualche giorno, si festeggia il ‘Santo’ Natale. Tutti sanno che la nascita storica di Gesù, del figlio di Y(a)HW.Hē (così si deve scindere il cosiddetto ‘tetragramma’, con il segno ‘commentatore’ del pronome a parte), non ha niente a che fare con la data del ‘Natale’, essendo questa, astronomicamente parlando, semplicemente la rinascita o la ricorrenza della ‘nascita’ ciclica del Sole, divinità venerata, come si sa, da moltissime popolazioni antiche dell’Oriente e dell’Occidente. Ma nella Sardegna nuragica S‘AN-YHWH o ‘AB S ‘AN , il padre santo luminoso e taurino, era venerato proprio nel giorno astronomico come dimostrano, tra l’altro, i nuraghi, cioè i simboli templari di energia creativa del Dio, nel loro orientamento. Quando i primi cristiani, già nei primissimi secoli, vennero in Sardegna a propagandare la loro fede, obliterando, con ostinazione degna di miglior causa, il nome e i riti di YAHU/YAKU, ovvero del (B)abay sardo, non si rendevano conto, a motivo della perdita pressoché totale della memoria storica locale, che davano energicamente di roncola a se stessi oltre che agli indigeni. Comunque, stando le cose come credo che stiano, i Sardi (ŠRDN nuragici) sono storicamente il popolo che più di tutti gli altri, dopo i Palestinesi, può andare orgoglioso di questa antichissima ricorrenza per la divinità solare. Questa ormai è storia. Il ciondolo lo afferma, crediamo, senza discussioni. E, considerata la particolare divinità ‘sinaitica’, anche l’albero della vita, con tutto l’ ‘esercito’ delle palline e delle stelline luminose, teniamocelo ben caro come simbolo, ché non è certo di ascendenza nordica ma mediterranea.
http://gianfrancopintore.net
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